Studiando per i miei cari concorsi, tutti nello stesso periodo del giorno di tulle, sto anche riflettendo sul mio lavoro di educatrice che fondamentalmente è un lavoro di estrema cura, in tutti i sensi. Quando sento amici e conoscenti che si lamentano del dover sempre fare le stesse cose al lavoro, sorrido e penso alle mie, di routine! Cambia pannolini su pannolini, contrai gli addominali per non vomitare dinanzi alle fragranze di certi pannolini, asciuga moccoli, ri-asciuga moccoli, ripeti per circa 100 volte al giorno da ottobre a maggio, pulisciti dalla felpa la pappa , il rigurgito, il vomito, stringi forte forte i polpastrelli sulle tempie a vedere se i pianti a 100-120 decibel possono lasciarti scampo durante la sindrome premestruale, ok: stop, vi grazio! Ecco, questa interminabile routinarietà a volte mette a dura, durissima prova, ogni tanto pensi sono senza forze, ordino il disordine che nel giro di pochissimo tempo torna caos…
Poi però penso anche che c’è una dimensione molto più complessa e dolce, tenera e sublime dell’avere molta cura, che richiede in realtà una capacità di comprensione, di immaginazione, di dialogo e spesso di arte non comuni, perché prendersi cura significa mettere in atto tutto ciò che è possibile perché l’altro stia bene! Al nido ma anche per strada, a casa, a fare la spesa, passeggiando… una tata la riconosci subito!
È molto bello riflettere sul fatto che possiamo creare scenari di quotidianità che generano benessere, danno forma al vivere e attribuiscono senso ai gesti semplici di tutti i giorni. Anche se non facciamo lavori di cura.