Io scelgo una vita ecocentrica

Ieri pomeriggio ho fatto un corso di cucina naturale con Jessica Callegaro e Lorenzo Locatelli di Cucinare secondo Natura, ed eravamo da Cristina di Umileterra, un luogo molto speciale in cui Cristina ha deciso di rinnovare la propria vita coltivando la terra, lo zafferano e raccogliendo poi i suoi doni. È stata un’esperienza di quelle che ti cambiano profondamente, anche se ero già sulla buona strada e segnano un prima e un dopo, perché ragioni sulla consapevolezza che ciò che mettiamo nel piatto non è più solo una faccenda nostra, non riguarda solo noi. Cucinare secondo natura significa rispettare la terra e ciò che ci dona, vivere una vita più sostenibile, scegliere prodotti locali, stagionali e bio che arrivano sulla nostra tavola eticamente, senza sfruttamento e violenza.

Una vita ecocentrica, insomma.

Abbiamo visto come si cucinano alghe arame, vellutata di zucca, polpette di miglio, verdure al forno, crema di cannellini, torta allo yogurt e dolce salame e poi assaggiato tutto, che bontà!

Jessica e Lorenzo ci hanno anche insegnato come allestire una dispensa e appena avrò finito di scrivere questi pensieri andrò sul sito di Maison du Monde a curiosare; dopo aver fatto la torta di mele intanto ho raccolto la farina di grani antichi di Cristina in un vaso che mi aveva regalato mio papà. Me lo aveva donato dicendomi che ogni volta che mi sarei sentita triste avrei dovuto chiudere la tristezza lì dentro e poi metterlo via e sarebbe passato tutto. Oggi rispolvero quel vaso per metterci dentro non emozioni brutte ma cose semplici di una nuova vita, più consapevole e comunque mi viene da dire grazie papà!

Il vaso di mio papà

Gastrite e iPhone

Ieri ho avuto un attacco di una gastrite che non sapevo neppure di avere e stamattina ho dimenticato a casa sul tavolo il mio iPhone. Quando sono arrivata al lavoro e me ne sono accorta mi sono detta che forse non era poi così male e durante la giornata ho avuto la certezza che in fondo in fondo noi sappiamo sempre di che cosa abbiamo bisogno e che cosa ci fa bene.

Oggi a me faceva bene rimanere disconnessa ma connessissima alla vita vera e infatti c’era un bel sole ma per fortuna nei giorni scorsi è piovuto così si è pulita un po’ l’aria da tutto lo smog che respiriamo, avevo tempo fra una commissione e l’altra e ho lasciato la macchina lontana dal centro e ho camminato tanto, osservato i piccioni, un ragazzo in monopattino, gruppi di ragazzine che attraversavano la strada con il semaforo verde e ridevano cristalline, annusato il profumo del mio adorato calicanto nascosto in un giardino ma lui non rimane mai completamente nascosto, praticato moltissima gentilezza, ammirato per l’ennesima volta l’anima di Modena, preso in prestito un sacco di libri in biblioteca da leggere con i bimbi e uno di questi si chiama La canzone della cacca e un altro Storia randagia, mangiato croissant alla crema in un bar guardando fuori e c’erano i colori di Modena, il rosso mattone e l’arancione caldo, una ragazza che è passata coi suoi due cani e poi due sorelle anziane a braccetto e due fidanzati che si baciavano e un ragazzo molto bello che correva e i corrieri con i furgoncini elettrici e i fiori colorati fuori dal negozio di fiori e per nessuna delle cose che ho visto mi è venuto da fare foto e forse le ho viste davvero. Sono passata di fianco al teatro comunale e come sempre ho ammirato i sassi incastonati nel pavimento del portico e ascoltato da fuori l’orchestra che provava, chiacchierato con diversi amici incontrati per caso, letto una rivista e guardato le vetrine senza che mai mi venisse voglia di tirare fuori l’iPhone e controllare le mail, se la Benny mi aveva scritto, l’orario, facebook… L’unico effettivo problema è stato l’ora perché non porto più l’orologio da decenni, ma la questione era facilmente risolvibile con gli orologi dei campanili e la luce che cambiava.

Una giornata stupenda! La mia gastrite, ma soprattutto io, ringrazia.

La galaverna, uno dei modi per essere felici

Durante le vacanze appena trascorse sono riuscita a rigenerarmi profondamente e ho fatto scorta di bellezza e di cose che amo, la mia rabbia grazie alla scrittura sta evaporando sempre di più e a me rimane la tenerezza e una vastissima scelta di modi per rinfocolare la mia gioia. Ve ne elenco alcuni, in ordine sparso: inventarmi parole dopo due o tre bicchieri di lambrusco che poi diventano gergo familiare (es: pumo: ), celebrare tutto (solstizio d’inverno, luna piena, morte, vita, compleanni di persone, gatti, piante, anniversari, onomastici…), stare nella natura più che posso a respirare, congelarmi la faccia, camminare piano, contemplare, raccogliere il sole a grandi bracciate, scrivere perché la scrittura mi sta liberando e salvando, spesso da me stessa e scelgo le parole con cura, ne imparo di nuove, prendo le distanze da ciò che racconto, non giudico ma racconto e basta e allora è molto più facile lasciar andare e quando la Ross mi dice qui c’è del potenziale ma devi ampliare, togliere, riscrivere, approfondire, etc. etc. etc. io rispondo no, mi dispiace, di quella cosa non voglio più scrivere e invece poi ne scrivo, eccome e ci salta fuori un racconto che ci penso per giorni, a quanto sono stata brava e coraggiosa e un passo alla volta sto realizzando il sogno che non avevo mai raccontato a nessuno, neppure a me stessa. E ancora esercito la gentilezza tutte le volte che posso, anche quando non vorrei, mantengo gli impegni presi, non faccio più finta di stare bene se non è così, leggo leggo leggo, accarezzo i gatti e ascolto le loro fusa, accendo la lampada di sale rosa, imparo dalla Benny, permetto a Massi di prendersi cura di me dopo essermi raccontata troppo a lungo che sono sempre io a curarmi di tutto, oddio come farò! Non posso fare tutto iooo e allora mi fermo di più e lascio spazio, appunto, cucino e a fine gennaio parteciperò ad un corso di cucina naturale e non vedo l’ora…

Potrei andare avanti ancora per molto, ma mi piacerebbe che ora foste voi a riconoscere e raccontare le cose che vi aiutano ad essere felici, a coltivare la gioia.

Vi lascio con la parola del cuore degli ultimi giorni: galaverna, in francese verglas, in inglese soft rime. È una parola emiliana tipica, infatti la Nonnina la usava sempre.

La Galaverna è quasi definita dallo stesso nome: è una specie di addobbo invernale di tutti gli oggetti esposti al libero cielo” Ciro Chistoni

Come amo gli addobbi!

Nella foto, galaverna alle Salse di Nirano (Mo)

Buon compleanno Pilea!

La mia Pilea fra pochi giorni, il 15 gennaio precisamente, compie un anno e sono molto orgogliosa di come sono riuscita a prendermi cura di lei, sì perché è la terza e avevo paura di non farcela neppure stavolta. Le altre credo di averle annegate, avevo sempre paura che non fossero sufficientemente bagnate, ma nell’ultimo anno ho imparato che la Pilea non ha bisogno di molta acqua, l’ho capito osservando le foglie, appena si abbassano la metto a bagno nella tazza col fenicottero che mi ha regalato la Faby, per il resto solo luce, tantissima luce ed eccoci qua. Pensavo che la cura fosse l’essere sempre presente, il dedicare tantissime attenzioni e invece ho scoperto che spesso la cura più preziosa è stare accanto, contemplando la crescita dell’altro alla distanza giusta, a volte più da vicino e a volte invece da lontano. Ho portato a casa la mia Pilea da Settedifiori allo scioglimento di un voto che avevo fatto, una promessa di più amore nei miei confronti il giorno in cui ho risolto una dolorosa questione familiare, il giorno in cui la Nonnina ha potuto finalmente riposare in pace a più di tre anni dalla sua morte.

In questa casa si festeggiano persino i compleanni delle piante! La vita va celebrata continuamente.

Happy birthday Pilea!

Il femminile sacro

Oggi in montagna io e Massi abbiamo camminato tanto nel bosco, col sole e all’ombra e ho respirato molto profondamente l’aria pulita, ho messo in tasca bastoncini, sassi, gherigli di noci e muschio, raccolto un ramo di pino che è un albero molto intelligente perché rimane verde per tutto l’anno. Da quando sto bene ho un bisogno profondo di stare in contatto con la natura, con me stessa e con i cicli che si compiono lentamente e questa è la notte della Madre Oscura, una notte benedetta.

Qui la storia di quella che noi chiamiamo la Befana…

“L’immagine della povera vecchina dalle vesti lise, che attraversa i cieli cosparsi di stelle e la bella e bianca luna nella gelida notte d’inverno, per distribuire dolcetti e carbone, è dunque tutto ciò che è sopravvissuto nella nostra tradizione delle splendenti Dee di Luce e Fortuna.
Eppure non è difficile, per chi desidera andare oltre la superficie, scorgere oltre il suo laido viso sempre sorridente e gentile, la sua appartenenza ai mondi antichi e le sue lontane radici che ben vi attecchiscono.
A volte pare addirittura che ella voglia mostrare una porticina segreta che si nasconde oltre la sua figura, la quale si apre su di un regno incantato che lei stessa ancora incarna, sebbene quasi più nessuno se ne interessi o ne sia a conoscenza.
Al di là di quel piccolo varco magico, la Befana si riappropria finalmente della sua vera sembianza, e bisogna quasi proteggere gli occhi per non rimanere accecati dinnanzi alla visione abbagliante che ella mostra di sé, come del resto poteva succedere a chi tentava di vederla aggirarsi per le campagne, nei tempi in cui i suoi nomi erano altri e diversi, e richiamavano sempre la sua essenza di luce. 
Ella, infatti, altri non è che la stessa Holla, e Berchta e Frigg e Fulla, ed infinite altre luminose divinità femminili della Natura incontaminata, elargitrici di doni ed abbondanza, legate alla vegetazione, agli animali, alla fertilità ed alla Fortuna.
È la luminosa Dea del ciclo eterno, che muta la sua forma e conduce le stagioni. Portatrice di nuova vita e luce nel freddo e buio inverno, può assumere un aspetto incantevole, giovane e vigoroso, ma anche uno completamente opposto, orrendo, vecchio e spaventoso, “a rappresentare un ciclo completo dalla nascita alla morte e alla rinascita.”
È l’antica Fata, Filatrice del Destino e Dea del Karma, che trasmette la sua arte alle donne perché la impieghino nelle loro vite; e la Coltivatrice delle profonde terre interiori, che insegna a coltivare i Semi nascosti, perché possano diventare ciò che sono nati per essere.
Il suo culto, ricorda quelli dedicati alle Matres o Matronae primordiali, Antenate genitrici di tutta la Natura, premurose e amorevoli protettrici delle donne, delle partorienti, dei neonati, e al contempo dei bimbi non nati e del sotterraneo mondo dei morti; e fra di esse, in modo particolare, richiama le Matres Domesticae, poiché come loro è custode del sacro focolare domestico, della casa e dei lavori femminili. Per questo forse non è una coincidenza che ella faccia uso proprio del camino, dimora del fuoco, per introdursi nelle abitazioni e per farvi ricadere magicamente tutte le cose buone di cui è portatrice.
La sua festa è molto preziosa perché è forse una delle uniche rimaste quasi intatte, nel corso del tempo e nonostante l’alterazione cristiana. E lo stesso la sua cara e tanto amata figura, eco delle divinità femminili che a lei hanno affidato la loro memoria perché non si spenga e continui a brillare, così che qualcuno possa scorgerne la luce e magari decidere di seguirla.
E chissà che, nel farlo, non si intuisca il luccichio fugace di un magico filamento dorato…
od il lontano tintinnare di tanti, piccoli campanellini”

ilcerchiodellaluna.it

Buona magica notte!

Anno bisesto…

A quest’ora del primo giorno dell’anno ho già, in ordine sparso, guardato due episodi di Barnaby, avviato una discussione sui diritti delle donne nella Chiesa sulla pagina facebook di Famiglia Cristiana scatenando un vespaio patriarcale, preso della maiala su twitter dal sessuofobo di turno, dormito fino alle 10 e alzata dal letto con Massi alle 13, continuato a scrivere uno dei miei racconti, letto poesie di Ana Martins Marques parlato con i gatti dell’anno che è iniziato, mangiato pasta in bianco e ora ho voglia di pizza, organizzato il week end in montagna, fatto gli auguri allo zio preferito a Marsiglia

ed è solo l’inizio!

Happy new year! ⭐️⭐️⭐️