Lampo, il cane ferroviere di Campiglia Marittima

Sto partendo da Campiglia Marittima dopo la stupenda esperienza di full immersion di scrittura autobiografica e voglio portare a casa con me per ricordo la storia di Lampo, il cane viaggiatore.

Lampo era un bastardino pezzato che negli anni ’50 ha iniziato a farsi notare dagli abitanti di Campiglia perché saliva e scendeva dai treni come un viaggiatore esperto. Chissà dove andava! Virna, la figlia piccola del capostazione, ha chiesto al padre se potevano adottare Lampo, per non più di una notte, disse lui e poi Lampo è sempre rimasto con loro. Era un cane molto impegnato, al mattino saliva con Virna sul treno e la accompagnava a scuola, poi tornava e andava in ufficio col capostazione, e riprendeva il treno per farsi trovare puntuale all’uscita da scuola da Virna. Il cane dei ferrovieri era ormai famoso, la Rai gli dedicò uno speciale e addirittura un settimanale americano lo fotografò e lo mise in copertina. Purtroppo Lampo non si accorse di un treno in manovra, la sera del 22 luglio 1961. È seppellito sotto un’acacia in stazione a Campiglia e lo ricorda questa bellissima statua.

Adoro le piccole grandi storie, ma ormai lo sapete.

I Nokia non si rompono mai!

Massi stavolta è in camera con un signore tanto caro di nome Franco che ascolta la radio dal suo vecchissimo Nokia con le cuffiette che però si intrecciano sempre con il tubino della flebo e poi quando lui si muove casca tutto per terra, ma il Nokia non si rompe mai. Franco ha i segni dei birkenstock sui piedi e fa finta di niente, ma in realtà ascolta tutto quello che si dicono Massi e i medici. Col fatto che domani parto per la settimana di scrittura creativa mi ha detto non preoccuparti, a lui ci penso io e io sono in effetti più tranquilla, anche se non è stato facile andare via da quella stanza.

Prima, non si sa bene come, io e Massi abbiamo trovato nel suo beauty le siringhine con l’insulina che faceva Pipi. È tutto un avanti e indietro di quel gatto, fra farfalle e altri segni di presenza, caro lui!

Adoro l’ospedale di notte, quando tutto è quieto e fioco e le storie delle persone urlano ancora più forte.

La Piera e lo Chanel n. 5

In centro a Modena abita la Piera, una signora che ad una certa ora, quando cala un po’ il caldo, esce di casa e si siede sulla panchina davanti al Duomo e sorride alle persone ed esclama guarda che spettacolo! indicando il rosone. Non l’avevo mai conosciuta, credo che fosse un regalo a me predestinato proprio oggi. A te piacciono le orchestre? mi ha chiesto, Mah, come dire…, le ho risposto, Ho capito, ho capito! Ma cosa vuoi guardare in tv, la politica? E aspettare che cada il governo? (giuro, ha detto così!), Piera, il governo è già caduto, ieri. Ah, davvero?, io ho annuito e lei Guardamò, sono molto meglio i canali che trasmettono le orchestre e invece di pensare a certe cose balliamo!

Ecco. Mi è svoltata la giornata. Le ho chiesto una foto, poi lei è andata a farsi un bianchetto in piazza, se lo fa tutte le sere e fa bene.

Tornata a casa ho trovato cucina e sala invase dalle formiche, deve essere un segno, ma io non mollo, anche se vi confesso che durante questa lunga giornata ho pensato diverse volte alla Madonna, Fiorano, Lourdes, Fatima non importa. Le ho aspirate, ho pulito tutto con la candeggina e ho sparso borotalco sulla stradina che facevano per entrare, sorridendo al ricordo che molti anni fa, nella mia precedente vita, sulla via delle formiche spruzzavo Chanel n. 5.

Lo straccetto

Amo tanto scrivere, ormai lo sapete. Di solito farlo mi aiuta a rendere più dolce la realtà, a vederla con occhi diversi e a cogliere storie e bellezza. Stanotte però non ci sono riuscita, anche se ho scoperto che di notte nei corridoi del Pronto Soccorso trasmettono musica italiana di un’emittente locale, ma le canzoni erano talmente vecchie e brutte che mi saliva ancora di più il nervoso. Accanto a noi c’era un malato psichiatrico che delirava, diceva cose sulla morte e sull’inutilità della sua vita, era guardato a vista da una delle molte guardie che di notte passeggiano per il Pronto Soccorso perché un po’ violento. Che poi provavo a ricordare, da quando ci sono le guardie in ospedale? Comunque le infermiere erano molto carine con questo signore, lo conoscevano bene, mi è parso di capire che ogni tanto lui decide di andare a passare la notte là, così loro hanno portato del cibo scovato non so dove all’una di mattina e lui dopo aver mangiato è crollato dal sonno e stop. C’era anche un ragazzo con un polso o la mano rotta, non so. È uscito dalla sala gessi ridendo e dicendo che bisogna essere sempre positivi perché gli avevano ingessato la mano col pollice verso! Mi ha fatto sorridere, camminava per il corridoio come Fonzie, con sto pollice up e rideva. E poi c’era una signora obesa che faceva fatica a respirare. Dopo le lastre la dottoressa ha deciso di ricoverarla per polmonite ad entrambi i polmoni e il marito si è infuriato perché non voleva tornare da solo a casa, non voleva che sua moglie rimanesse lì. La dottoressa ha dovuto spiegargli perché era il caso che ci rimanesse, in ospedale, eccome e alla fine si è rassegnato.

Anche Massi è stato ricoverato e stavolta vederlo stare così male e a così poco tempo dall’altro ricovero, mi ha fatto venire paura, tristezza, rabbia. E una stanchezza che porta con se altri mille motivi. Di solito quando Massi rimaneva in ospedale io tornavo a casa e mi accoccolavo nel lettone con Pipi. Stanotte no.

Mi sento uno straccetto.

(Ph. Pinterest)

Quante storie! Pupun, al ross d’la Pepa e la farfalla…

Non credevo proprio che fosse una buona idea partire, venerdì. Avevo prenotato quei tre giorni di vacanza a giugno, grazie ad uno dei molti cofanetti vacanza che ci sono stati regalati per il tulleday. Avevo scelto in base al verde attorno al Podere, alla sensazione che fosse in alta collina ma non avevo controllato su google maps perché voglio imparare sempre di più ad andare a sensazione, a intuito, a magia, al fatto che in questo soggiorno venisse servita anche la cena, rigorosamente vegetariana, con gli ingredienti che la terra attorno al Podere regalava.

Però venerdì sia io che Massi eravamo distrutti. Dalle ultime settimane di Pipi, dalla tristezza, dal vangare la terra dura per seppellire il nostro micione, dai ricordi e ci dicevamo che era meglio non partire, stare a casa, in penombra, con la Miri e Tino, ma come facevamo ad annullare così, il giorno stesso dell’arrivo? Allora siamo partiti al pomeriggio tardi e siamo arrivati a Langhirano per cena. Al Podere in cui avremmo alloggiato abbiamo trovato la proprietaria Elena con Enrico, il suo fidanzato e Maurizia, una signora nata lì ma che poi si è trasferita a Parigi ed era arrivata qualche giorno prima col tgv, e poi il trenino fino a Parma e il taxi fino a Castrignano. Elena mi ha raccontato che l’arrivo di Maurizia pareva un film, per quel taxi sperduto fra i monti e lei, signora parigina che scende con un borsone imbottito in mano da cui spuntava una testina, quella di Pupun, un micione bianco e arancione, come Pipi. Ci stavano aspettando per cena, abbiamo mangiato tutti insieme e siamo stati a chiacchierare fino a tardissimo, sembrava una delle tavolate di Almodovar, quelle dove tutto è possibile anche se quegli intrecci non te li saresti mai aspettata. E ovviamente io ad un certo punto ho preso l’iPhone e ho iniziato a mostrare foto di Pipi, del matrimonio, di tutto e questa cosa che mi è presa ultimamente di mostrare foto a semi sconosciuti mi fa sempre sorridere. Quella sera ci siamo addormentati in un lettone antico e abbiamo dormito fino a tardi. Poi abbiamo conosciuto Giuseppe, che ha la Cantina del Borgo a Torrechiara e che mentre passavamo davanti alla cantina fischiettava e ci ha detto buongiorno e io mi sono fermata subito sorridendo. Dopo qualche parola ha raccontato che all’alba quella mattina aveva visto un lupo bianco nella vigna ed era bellissimo e poi siamo entrati per la degustazione. Uno dei vini si chiamava ross d’la Pepa e subito gli ho domandato chi è la Pepa? e lui Mia madre. Quando è morta nel suo giardino ho trovato una vigna nascosta dal resto e con tanta pazienza ho fatto il vino, il mio vino più buono! e io Le manca molto sua mamma?, Sì, moltissimo. Anche a Giuseppe ho raccontato di Pipi e lui ci ha accompagnati a vedere la Mery, una micina che è stata abbandonata nel borgo e aveva grandi occhioni nocciola, ci ha chiesto se la volevamo adottare, ci abbiamo pensato fino ad oggi è poi siamo tornati a trovarlo e gli abbiamo detto di no, perché secondo noi sta molto meglio libera, in mezzo alle case di sasso. Se l’avessimo portata a casa con noi però le avremmo cambiato nome. L’avremmo chiamata Pepa.

Questi tre giorni di vacanza nel verde e nelle storie ci hanno fatto molto bene. E c’era anche una farfalla che spesso si avvicinava a noi, a Torrechiara. Siamo certi che fosse Pipi.

Pipi la stella

Pipi è diventato una stella

mentre veniva su il caffè per la colazione, la campana delle dieci e trenta suonava, la cagna antipatica del vicino abbaiava, Tino lo guardava, io lo accarezzavo, Benny seduta sul divano accanto a noi, Massi che diceva telefoniamo a Maffei, Miri scappava e tornava.

Poi ho acceso il cero della famiglia, lo stesso che Elena aveva acceso accanto alla Nonnina e ho riempito la ciotola di acqua, perché per tre giorni può tornare a bere e deve trovare acqua e luce quanto basta. L’ultimo film che ha sentito è stato il favoloso mondo di Amélie, l’hanno accarezzato amici cari, in tantissimi gli avete mandato bacini e grattini, un ragazzo speciale voleva sapere continuamente come stava, in tantissimi lo portiamo nel cuore. Pipi è stato un gatto fortunato, ha vissuto tante storie belle, anche noi siamo stati fortunatissimi ad averlo e a continuare a portarlo con noi, nella nostra famiglia.

Grazie Pipi, brilla sereno, piano, con nonchalance, come sai fare tu.

Commissionare stelle

A cosa pensa un gatto mentre sta morendo? Lo capisce che tu non vuoi che vada, però gli dici Pipi, vai pure, grazie per tutto quello che hai fatto per noi, non ti preoccupare, vai…? che poi secondo me quella cosa dell’adesso vai, puoi andare serve solo a te perché non riesci più a vederlo così, uno straccetto di pelliccia con lo sguardo che non guarda più. Lo chiami e fino a qualche settimana fa ti avrebbe sentito anche tre stanze più in là e sarebbe corso, ora invece gli sussurri Pipi nell’orecchio e non ha il minimo sussulto. Il veterinario ha detto che si potrebbe fare la puntura e quando Massi me l’ha riferito ho detto subito mai! e anche lui ha risposto al dott mai!, ma la Benny invece ha detto secondo me sì, perché è come che sia già morto. Io spero che se ne vada da solo, qui, sul suo balcone, sotto al tendone, accanto al basilico, con attorno la signora bionda che porta a spasso il cane nel parchetto, la signora di fronte che festeggia l’amica sul suo balcone e ha preparato il tavolo con l’aperitivo e ora sono dentro che cenano, la giovane mamma che è riuscita ad addormentare la figlia appena nata nel passeggino a forza di camminare, i trattori che passano con le balle di fieno e la Miranda che corre avanti e indietro per la sua solita ansia. Vorrei tenerlo in braccio ma sento che lui si vuole allontanare, ogni volta che gli torna un po’ di forza si alza e crolla qualche centimetro più in là. Sta andando.

Oggi gli ho commissionato una stella, perché Pipi sarà una stella. A suo tempo vi racconterò perché. Ora accendo in balcone una treccina di incenso e vado a fare la doccia. Stare accanto a Pipi mi ha sfinita. Strani noi umani! Abbiamo bisogno di riti e passaggi, di lacrime, amuleti e consolazioni, di sapere sempre a che punto siamo. Eppure l’amore e la morte sono cose così semplici…

Pipi, la sua resistenza e le rose gialle

Nonostante le flebo che il veterinario sta facendo a Pipi ogni giorno, lui peggiora, a vista d’occhio e noi siamo tutti raccolti qui, attorno a lui. Io interro rose gialle e preparo i fiori nel vaso a forma di cuore per la cena di stasera, viene Francesco, ve l’ho già detto e a Fanano abbiamo preso la ricotta quella buona e i condimenti ai funghi e al tartufo; Massi suona la chitarra e la Benny guarda cose su Instagram. Però andiamo continuamente a vederlo, Pipi, a cercare di farlo bere, a fare una carezza a lui e una a Biscottino, suo fedelissimo badante, a dirgli dai Pipi, su! Che domani torni da Maffei (il dott), ti fa la flebo e vedrai che fai come Scrabby (un altro gatto che, a dire di Maffei, era mezzo morto un po’ come il nostro Pipi e allora lui gli ha fatto una flebo con chissà cosa dentro e Scrabby è stato meglio).

Inizio ad aver voglia di autunno, luce tenue e aria freschina, anche se mi sto godendo tanto i temporali estivi, le notti a scoprire cose nuove, il profumo della lavanda, le rose e il loro odore appena innaffiate, i polaretti, le stelle che spero di vedere e i desideri, soprattutto uno, che stiamo esprimendo in questi giorni.

Il giorno dopo il decreto di sicurezza bis…

Il giorno dopo l’approvazione del decreto sicurezza bis sono andata in centro a Modena, in una delle piazzette più belle e multietniche e mentre bevevo un tè freddo con una amica, ho visto cose che mi hanno fatto pensare che spesso la politica e la vita delle persone sono completamente diverse, nel bene e nel male. Stavolta nel bene. Infatti mentre al Governo si autorizzano e si incoraggiano la chiusura, il razzismo, la discriminazione, la demonizzazione e la paura, in quella piazzetta oggi c’era la giovane commessa italiana di una profumeria bio che quando non aveva clienti usciva e, seduta al tavolino di fianco al nostro, giocava con le due piccoline figlie della signora del banglashop e con un giornalino pubblicitario dell’OBI insegnava loro parole in italiano, erbaaa, fiooori, tagliaerbaaa… Poi è arrivato un biondino di circa 4 anni con la mamma tedesca e mentre lei faceva la spesa al banglashop lui rincorreva le amichette che ridendo ripetevano errrbaaaaa. Dopo poco è arrivata anche la cuoca albanese un po’ freak di un locale alla moda del centro, insieme al suo cagnone e alla gattina che di solito abita nella piazzetta, immaginate il casino che c’era venuto fra cane e 4enni felici, si rincorrevano tutti, vicino ad un signore anziano che mangiava noccioline, beveva un bianchetto e un po’ sbuffava un po’ gli scappava da ridere. Mi sembrava tutto un gran caos perfetto. Dopo il tè sono andata da Zara a cercare un paio di jeans perché al mare sono rimasta incastrata in una panchina e ho strappato completamente i miei preferiti. La moda autunnale prevede jeans larghi con il cavallo basso e due tasconi davanti, un incrocio fra tuta da meccanico e haute-couture, perfetti per me. A ottobre andremo al concerto di Sting e nel frattempo vogliamo rivedere i film di Fellini partendo da Amarcord. Stanotte ho osservato per ore la pancia che andava su e giù di Pipi perché mi ero convinta che stesse per diventare una stella, ma stamattina per fortuna si è ripreso. Domani montagna, venerdì sera Francesco l’infermiere di Massi a cena (vedi Dire le cose belle, soprattutto quelle 🔽 sotto) e intanto progettiamo sogni da far diventare realtà nei prossimi mesi, pian piano, un passo dopo l’altro, insieme noi.

Ostinata pazienza

“Si nascondono casa per casa piccole storie di persone, di gente comune che a volte è riuscita magicamente a raffigurare l’invisibile, giungendo fino a noi come un canto” V. Marchetti

Ho dovuto avere pazienza qualche giorno per scrivere questa storia che vi avevo già annunciato nel precedente post Pensieri di mare, sale e luce. Ho dovuto aspettare di avere il cuore giusto e non credevo di certo che lo avrei avuto oggi. Stamattina infatti abbiamo scoperto che Pipi ha il diabete e Massi è stato di nuovo poco bene ed è dovuto tornare in ospedale. E invece eccomi qui, con il mio iPad in mano, una bellissima foto da condividere, i colori giallo ocra e azzurro biancastro negli occhi.

Domenica scorsa abbiamo fatto il nostro consueto giro a Santarcangelo di Romagna. Ogni anno ci torniamo, è un rito che ci fa sempre tanto bene. Passeggiando per la piazza della Collegiata dopo pranzo vedo che Benny e Lety stanno giocando con un gatto sui gradini di una stupenda casa rossa, il portone aperto lasciava intravvedere una signora sulla sedia a rotelle con le ciabatte rosse, somigliava tanto alla mia Nonnina. Ho tirato subito fuori l’iPhone per fotografare da lontano quella suggestione, quel paesaggio del mio cuore e mentre scattavo vedo che la signora mi fa segno con la mano di avvicinarmi con un sorriso bellissimo. Ci siamo avvicinati tutti volentieri e ci siamo accorti che accanto a lei c’era un uomo, lei è il figlio, vero? È uguale… e infatti era così. Nel giro di qualche minuto abbiamo scoperto che il micio si chiama Leo, la signora con il vestito e le ciabatte rosse Dina e suo figlio Giuseppe, detto Pino, poi su c’era Dolores, la moglie di Pino. Noi sulla soglia, loro dentro all’androne ci siamo raccontati molte cose su Santarcangelo, su di noi, su di loro, sulle ragazze, sui gatti, sui palazzi stupendi come il loro, sul fatto che ad una certa età l’idea della morte ti diviene familiare e parla, parla, parla, salta fuori che Pino è un pittore! Che poi lui te lo racconta quasi tirandosi indietro da questa etichetta, però capisci che ai suoi quadri tiene in una maniera così assoluta e viscerale che pensi proprio che ti piacerebbe tanto vederli. Lui deve avermi letto nel pensiero e poi ci teneva molto che li vedessimo, si vedeva e ad un certo punto dice aspettate un attimo, che sento da mia moglie se potete salire e io magari! Mentre salivamo le scale, Pino e Dolores stanno al secondo piano senza ascensore, mi dicevo chissà come saranno questi quadri e di certo non mi aspettavo quello che stavo per vedere, la magia in cui stavamo per precipitare! Erano entrambi felici che fossimo lì e la felicità era assolutamente reciproca. Dolores ha parlato tanto con Benny e Lety, era una prof, si vede che amava molto il suo lavoro. E i quadri di Pino… non avevamo parole, continuavamo a dire stupendi! ma poi abbiamo smesso perché sembrava che lo dicessimo così per dire, perché in certe occasioni sta bene dire così, però stupendi! continuiamo a dircelo ancora adesso che siamo tornati a casa. Pino nei suoi quadri ha dato vita ad una umanità ritratta con sguardo affettuoso, indulgente, ironico, arguto, e in cui paesaggi, ambienti, persone e cose, anche le più minute, convivono armoniosamente (Paolo Foschi, presidente musei di Santarcangelo) e io volavo fra tutte quelle persone, quei colori, quelle storie e gli ho chiesto come ha fatto a dipingere tutta quella gente, era vera, esistente o inventata? Lui mi ha risposto che non c’era esattamente una risposta, che tutte quelle persone erano uscite da lui e finite nel suo pennello perché così doveva accadere e aveva un’idea precisa di tutti loro, li conosceva anche se magari non li aveva mai incontrati. Accade così anche a me, quando sento l’urgenza di raccontare una storia e mentre la vedo, dentro o fuori di me, la immagino già in parole. Non so perché, ma accade così. Esattamente così è stato anche con loro, Pino Dolores Dina e Leo, insieme a tutti quelli che abitano sulle pareti della loro casa. Una moltitudine, una bellissima festa di paese, uno sguardo unico sui colori e sul cuore della Romagna, sugli usi e sui costumi di questa gente con uno sguardo alla Pino Boschetti, che somiglia tanto a quello di Fellini e a quello di Guerra. Campi morfici? Io sono certa di sì. Quei quadri sono pieni di piedi ben piantati a terra, ma anche di tanti sogni e gioia di vivere.

Il 18 luglio prossimo Pino e Dolores festeggeranno le nozze d’oro e gli abbiamo promesso che torneremo a trovarli per gli auguri. Dina vi aspetta davanti alla Collegiata di Santarcangelo, che è solo contenta di parlare con chi passa davanti alla sua casa.

Nel frattempo è saltato fuori en passant che Pino ha partecipato per ben tre volte al Premio Nazionale dei Naïfs di Suzzara, quello di Cesare Zavattini per intenderci, che ha ricevuto la medaglia del Presidente della Repubblica per uno dei suoi quadri più splendidi, Sere d’estate e che ha esposto con grande successo a Santarcangelo. Se volete scoprirlo più da vicino, eccolo: boschetti.net.

Dɪɴᴀ