“La mia allieva”

Sono rintronatissima perché siamo andati a letto molto tardi e anche perché ho bevuto diversi bicchieri di vermentino e falanghina, che buoni! Una cena molto interessante con le persone che avevano partecipato alla presentazione di Così allegre senza nessun motivo, della Rossana Campo a Bologna, in cui si è detto che quando scendi giù, molto giù dentro di te non puoi trovare solo dolore, è inevitabile trovare anche la felicità che viene proprio dal non aver paura dei propri randagismi. E poi si è detto anche che l’amicizia fra donne è qualcosa di formidabile e pure che i momenti in cui ci si trova, si discute di libri e cultura e si ride sono gli antidoti perfetti alla brutta politica e non solo. E la Ross ad un certo punto ha detto la mia allieva e io sono stata tanto orgogliosa di essere io, la sua allieva. Mi sembra una cosa incredibile, essere l’allieva di qualcuno e che mi vada benissimo così, in un momento in cui tutti si sentono di poter insegnare qualcosa, di essere nati imparati, io invece amo la dimensione dell’aver tantissimo da imparare, soprattutto da una come la Ross. Io parlo, io lotto, io sono!

A cena poi l’attenzione si è concentrata ad un certo punto sul mio nuovo tatuaggio randagia, nato dal titolo del mio primo racconto e allora si diceva che potrei tatuarmi pian piano i titoli di tutti i racconti che scriverò e tutti ridevano e la libraia ha detto il titolo di quello che stai scrivendo ora però lo devi tatuare in un posto nascosto e magari in un’altra lingua, sai… hai una figlia! ed effettivamente ha ragione.

Felice domenica, randagi ♥️🍂🍁

(Ph. Patty Caffiero)

Il mio autunno 🍂🍁

L’equinozio autunnale sarà domani, ma nel bosco in cui riposa Pipi è già autunno, pioveva e l’aria era frizzante. Gli abbiamo portato la sua stella, quella che gli ha intrecciato la Vivi, Mademoiselle des reves, l’ho sistemata per bene su un ramo nascosto in modo che nessuno possa rovinarla o rubarla, ma è rivolta verso la tomba di Pipi, saranno sempre lei, la stella, e lui, il nostro micione 18enne, ah e ci sono anche i fiori bellissimi che ha piantato la Patty delle Cascate.

Nell’ultimo anno sono successe una miriade di cose per cui ringraziare io desidero!

Il 26 maggio e il tulle, tre corsi di scrittura per credere davvero ad un sogno che facevo solo di nascosto, la nascita della randagia, quattro tatuaggi quasi cinque il 30 ottobre, i respiri lunghi e forti, i no! e i vaffanculo, i sì lo voglio e i sì anche se non lo vorrei, il nostro nuovo progetto, la gioia di essere me e solo me.

In quest’ora della sera/ da questo punto del mondo/ ringraziare io desidero…

Mariangela Gualtieri

Oggi mi sento molto randagia

La mattina del 7 agosto mi sono svegliata, ho aperto gli scuri della mia camera ma solo in fessura perché c’era già molto caldo, sono andata in cucina e ho trovato come sempre la mia tazza con scritto buongiorno un cazzo, la moka da tre, il latte e il mio croissant alla crema da condividere con Miranda, la gatta.

Tutte le mattine prima di andare a lavorare Massi mi lascia la tavola apparecchiata e quando non lo fa significa che abbiamo litigato pesantemente, ma accade di rado.

Dopo colazione mi sono vestita, ho messo la canottiera scollata a righine bianche e blu, i jeans, i soliti sandali, ho raccolto i capelli in uno chignon spettinato e mi sono diretta verso il luogo in cui sono nata e sono morta, poi sono anche rinata, ma non lì.

Ho parcheggiato la mia due cavalli dove la metto sempre, fra il tiglio e il posto dei disabili. Sono scesa, ho chiuso bene la portiera che spesso lascio aperta distrattamente e con passo veloce e solenne sono entrata, diretta dove dovevo, ma anche interessata a vedere se per caso fosse arrivato qualcuno di nuovo.

Davanti alla tomba dei miei genitori ho controllato i fiori, in pieno sole pochissimi resistono, solo questo cespuglietto di spighe blu che sembra lavanda ma lavanda non è e non ricordo come si chiama, spolverato il lumino a forma di tulipano, strappato l’erba matta che cresce fra il marmo e la stradina e mi sono posizionata a metà fra l’uno e l’altra.

Ho urlato Vaffanculo e me ne sono andata.

Avevo diverse commissioni da fare quella mattina e poi mi sarei trovata con Alle e Maurizia in centro per uno di quei pranzi in cui tutto può accadere, mi sorprendo sempre della leggerezza e della follia che riusciamo a inventarci insieme. Ero stata la prima ad arrivare nella piazzetta in centro dove io e le mie amiche pranziamo sempre e mi sono seduta cercando con lo sguardo Pea, la micia della curia che si struscia volentieri sulle mie gambe e mi suscita pensieri profondi. I pensieri in quel momento nell’ordine erano: quale vino ordinare, controllare che Pea non avesse pulci per il fatto che la sera prima avevo messo l’antipulci a Pipi e a Miranda e confrontarmi con le mie amiche su un tema che mi interessava molto in quei giorni, ossia informarmi su ciò che hanno provato le mie amiche quando hanno tenuto in mano per la prima volta un pisello.

Avevo bisogno di capire, perché per me il vaffanculo urlato quel mattino al cimitero e il cazzo erano uniti da un fil rouge potente e assoluto, l’amore.

Ragazze, vi devo chiedere una cosa, ho detto dopo aver buttato giù un po’ di falanghina e Alle Cri, com’è andata a casa della Nonnina? e Mauri Giusto! Sei tanto triste? e io Non so, oggi mi sento molto randagia e proprio per questo avrei bisogno di sapere che cosa avete provato la prima volta che vi siete trovate in mano un cazzo! e ho buttato giù il resto della falanghina rimasta nel calice. Pea era sempre sotto al tavolo a strusciarsi e loro tacevano, un po’ spiazzate, così sono partita io a raccontare, che poi forse avevo bisogno soprattutto di quello.

Il primo pisello che mi sono trovata in mano apparteneva a Bastiano, allievo ufficiale dell’Accademia, con cui avevo iniziato ad uscire a 17 anni, più o meno con lo stesso entusiasmo di Biancaneve che esce con Pisolo. Prima di lui solo Matt dei Bee-Hive, il complesso musicale di Kiss me Licia e Livio, anche lui musicista, mi piaceva seguirlo perché era bellissimo e le vie del paese quando lui passava in bicicletta diventavano più luminose, che importa se poi lui imprecava perché mi trovava sempre ovunque.

Amori pazzeschi per me, ma Bastiano è stato il primo, quello un po’ più vero degli altri. Per mia madre era stranissimo che non avessi ancora avuto un fidanzato, per me no perché ho sempre avuto tempi incerti e lunghi su quasi tutto e sicuramente mia madre soffriva del fatto che nessuna sua amica avesse mai potuto dirle che figlia precoce che hai, certamente le avrebbe fatto molto piacere. Tutto sommato però ne era valsa la pena di aspettare, perché ora c’era la concreta possibilità, a suo dire, di diventare suocera di un ufficiale in carriera, finalmente stavo combinando qualcosa di buono. Peccato che Bastiano avesse in mente soltanto di portarmi all’Hotel della Pace, mentre io ero certa che quando avrei perso la verginità certamente non sarebbe stato per nessun motivo al mondo in uno squallido hotel con balconcini sui binari, Modena, stazione di Modena! o forse sì, ma perché andava a me. Questo creava conflitti fra me e Bastiano e fra me e mia madre, che tentava di farmi capire che gli uomini sono così, vogliono solo una cosa e voleva portarmi dal ginecologo per iniziare a parlare degli anticoncezionali. La mia risposta a lei e a lui erano cuoricini di argento spezzati romanticamente in due ma che Bastiano non ha mai messo, Eh, bè, gli ufficiali mica possono mettersi catenine sulle divise diceva madre e io continuavo con trascrizioni di testi di canzoni di Miguel Bosè e Ramazzotti, piccoli regalini a lui e una apparente complicità con lei. Nel frattempo, vista la situazione di attesa romantica, Bastiano ha deciso di mettermi in mano il suo cazzo per la prima volta al cinema Olympia durante la proiezione di Piccolo Grande Amore, mi ha guidato un po’ la mano e si è asciugato con un fazzolettino di carta. Stop. E il film non mi era neppure tanto piaciuto.

Mi ha ritrovata su facebook 3 anni fa e per molto tempo mi ha chiesto di rivederci, da Roma voleva tornare a Modena, mi diceva che ero l’unica donna intelligente che aveva conosciuto, povero lui. Sulla sua bacheca ci sono solo scie chimiche e cerchi nel grano e io penso che sia proprio una fortuna per me sapermi inventare l’amore dove non c’è e poi andarmene così, forse senza un perché o anche perché sì e basta.

Mia madre… Ricordo quella volta che mi aveva portata dal dentista, ero bambina, mi aveva comprato l’album e le figurine di Georgie per convincermi e io ero felice, poi però non abbiamo più ritrovato la macchina nel parcheggio alla sera tardi ed è stato un casino. Era stato un casino anche quando ero andata al mare con un’amica e al ritorno c’era lo sciopero dei treni e non sono riuscita a tornare in tempo per un suo piccolo intervento e mi ha detto che l’avevo delusa. O quella volta che aveva letto di nascosto i miei diari segreti e io ci avevo scritto le peggiori cose su di lei e anche quando mi ha obbligata a comprare due cappotti costosi di cui non avevo bisogno e che non volevo, chissà dove li ho persi. E la pasta al ragù fredda ogni pomeriggio al ritorno dalle superiori, con lei che mi chiedeva com’era andata ma in realtà non ascoltava perché guardava Beautiful. Si lamentava di me con le amiche, non ero mai abbastanza, nel frattempo io la proteggevo e non le ho mai detto che le rimaneva un anno di vita, la ascoltavo quando mi vomitava addosso che mio padre la trattava male, la stava uccidendo e lei se ne sarebbe andata, ma poi è sempre rimasta, o forse non c’era mai stata. Ricordo quando mi chiamava Pimpinella, non so perché.

Per fortuna c’era la mia Nonnina, abitava due ville più in là della mia, capiva dal numero di rintocchi della campana se era morto un uomo o una donna e partecipava ai funerali anche se non conosceva il morto, ogni sabato andava a farsi la messa in piega e alla sera mi cucinava i quadretti in brodo con l’uovo sbattuto e il parmigiano come non li ho più mangiati. Quando i miei genitori andavano in vacanza io dormivo da lei perché avevo paura del buio e lei per me aveva una bella luce, anche se poi al mattino a colazione mi diceva Cristi, ascolta bene, quando avrai un marito devi concederti sempre, altrimenti la vanno a cercare da un’altra parte e non sta bene. Anche io con tuo nonno ho sempre fatto così, gli uomini non sono come noi. Si riferiva forse al fatto che il nonno, mentre lei stava in latteria dietro al banco e lui non le ha nemmeno mai pagato i contributi, faceva qualche consegna in bicicletta e poi passava il resto della mattinata al teatro Storchi a vedere le signorine che si spogliavano, eppure la Nonnina gliel’ha sempre data, quindi non capivo molto bene quel se ti neghi vanno a cercare figa altrove. Ero giovane ma comprendevo che negarsi e concedersi poco aveva a che fare con l’amore, anche se funzionava molto bene, vedevo, il prendere una donna, trattarla male e assicurarsi quindi il suo amore eterno o qualunque cosa fosse.

La nonna Emma invece l’avevo affettuosamente ribattezzata la nonna stronza, l’ultima volta che l’ho vista è stata al cimitero da mia mamma, era morta da poco e io andavo ogni pomeriggio, forse per ritrovarla o forse per essere sicura che fosse ancora lì, che non potesse tornare. Incontravo persone che mi raccontavano storie strazianti e anche la nonna stronza mi ha raccontato la sua. Le mancava tanto sua figlia, non si dava pace, non poteva sopravvivere a quel dolore, era stato lo stesso dolore anzi, forse peggio che aveva provato per il nonno Leandro decenni prima, quando poi appena morto lei era andata dalla parrucchiera per una messa in piega sobria e luttuosa perché al funerale doveva mostrarsi parecchio disperata ma pur sempre ordinata e che nessuno potesse dire che sciatta l’Emma, deve aver proprio sofferto, come farà adesso senza Leandro. Mia madre non era mai riuscita a superare l’idea di sua madre dalla parrucchiera mentre lei piangeva disperata il padre, poi le lacrime sono finite perché io non ho mai visto mia mamma piangere, ma la disperazione mai, credo. Comunque alla nonna stronza quel pomeriggio al cimitero ho detto che le persone vanno amate da vive, che dopo è facile intestarsi un amore che non è mai esistito e usarlo come una bella messa in piega. Mia mamma era stata malata un anno e lei non era mai venuta a trovarla, cazzo.

Vaffanculo! Io avevo bisogno di una madre che mi dicesse che andavo bene così com’ero e invece la sensazione era quella di essere stata buttata nella vita così, per puro caso, con la responsabilità di vivere al posto di altri. Mi sentivo un rimedio, non un pensiero d’amore e la follia di questa identità l’ho capita definitivamente soltanto da madre.

Camilla quando è nata urlava fortissimo, non capivo da dove tirasse fuori tutta quella voce in 45 centimetri e 2 chili, io non ricordo i miei pianti, ricordo invece benissimo che avrei voluto scomparire, che il disturbo che arrecavo mi era stato evidente fin da piccola. Nella mia maternità non ho mai sentito la mancanza di mia madre perché cercavo di rendere l’amore la mia esperienza di vita e lei era lontanissima ormai, da anni, da sempre. Avevo dimenticato il suono della sua voce presto e anche le sue parole, a parte quelle del bigliettino che mi ha scritto due settimane prima di morire, con grafia tremolante: ricorda che alla fine di tutto la cosa più importante sarà quanto avrai amato.

Allora lo sapeva, ne era consapevole quindi, semplicemente non è mai riuscita ad esercitare la tenerezza verso se stessa.

Sono rinata quando pochi mesi fa Cami ha fatto un esercizio. La prof. di italiano le ha messe in coppia a raccontarsi, a cercare e trovare le parole e ha dato alcuni spunti: chi è il tuo eroe, racconta come chi vorresti diventare, e lei ha scritto come mia madre e me l’ha raccontato mentre guidavo, tornando da scuola come che fosse la cosa più naturale al mondo.

Non mi ero mai accorta di essere un’eroina, cazzo! Cazzo cazzo!

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Questo è il racconto che ho scritto alla settimana di scrittura autobiografica condotta da Rossana Campo per Scuola Omero.

Orgogliosa io!

Pipi, le stelle e i buchi neri

Il mio amico Stefano mi ha spiegato che quando diventi molto vecchio e poi muori ti trasformi o in una stella o in un buco nero, non ci sono vie di mezzo e quando me l’ha detto, un po’ di tempo fa, aveva aggiunto Pipi diventerà di certo una stella, quando arriverà il momento e a me questo pensiero era piaciuto moltissimo, così sono stata certa che Pipi fosse diventato proprio una stella, il 15 agosto quando è partito. E qualche giorno prima che partisse ho mandato un messaggio alla mia amica Vivi di Roma che è una super creativa, lavora il ferro, il legno, le lampadine e ci mette dentro dei fiori bellissimi e le ho detto Vivi, per favore, puoi intrecciare del filo di ferro a forma di stella che Pipi sta per diventare proprio quello? e lei si è anche un po’ commossa.

Ecco la stella di Pipi. Appena riusciremo andremo a portarla sulla sua tomba. Non importa se poi Pipi, lo conoscete!, fa sempre a modo suo e col cavolo che è diventato una poetica stella! Da quando se n’è andato vediamo sono delle farfalle e abbiamo ragione fondata di credere che sia lui che ci viene a salutare ogni giorno. La stella se la tiene, comunque, che è anche stupenda, oh! e secondo me si può essere sia stelle sia farfalle.

(La stella che Viviana ha regalato a Pipi)

Buoni propositi e salvezze

Arriva l’autunno, per fortuna. Sì perché io la grande luce, quella sfacciata dell’estate che rimane con te fino a sera tardi, dopo un po’ faccio fatica a sopportarla… Ho bisogno di luce timida, di colori tenui e rilassanti, di avere il desiderio matto di andare anche io in letargo, come gli alberi e gli animali ma poi ogni mattina all’alba mi sveglio lo stesso anche se c’è freschino e combino un sacco di cose buone. Nell’ultimo anno sono diventata molto brava a realizzare i buoni propositi, tipo mi dico che andrò sicuramente a fare il saluto al sole e poi ci vado davvero. E non vedo l’ora che arrivi l’equinozio d’autunno per andare nel bosco a vedere i suoi colori, ho voglia di vestiti pesanti, berretti e buio presto. E anche di torta di mele e cannella e saune.

E di scrivere sul mio quaderno, tutto quello che mi viene in mente. Ieri riflettevo e parlavo con un’amica… Questo è un anno straordinario, sono rinata definitivamente e la mia rinascita la devo allo yoga, all’amore e… alla scrittura!

Che felicità!

(Foto Pinterest)

Il maestro Pavarotti e gli inviti…

Il nostro Pavarotti, il Maestro, ricordo perfettamente quando già 12 anni fa ci ha lasciato e a me sembra ora.

Vi voglio raccontare una cosa che sanno in pochissimi e che fa anche un po’ ridere.

Mons. Benito Cocchi, allora Vescovo di Modena, che ha celebrato anche i funerali di Pavarotti, nel 1999 mi disse vuoi andare a sentire Pavarotti? Ho un invito, ma non credo che lo userò… DonBe era così, magari una cosa gli sarebbe anche piaciuta, ma aveva un bisogno assoluto di rispettare il suo ruolo e il suo ministero e quindi rifiutava spesso tanti inviti, soprattutto quando si parlava di questioni mondane.

Ovviamente gli ho risposto subito certo, grazie! e la sera del Pavarotti International for Guatemala and Kosovo mi sono presentata con la busta che mi aveva dato e che non avevo neppure guardato. Mi sono resa conto che doveva esserci qualcosa di bizzarro perché la maschera continuava a fissarmi insistentemente… abbasso lo sguardo, vedo che sulla busta c’era scritto mons. Benito Cocchi e signora, evidentemente il segretario del Pavarotti International era stato poco attento, ho abbozzato un sorriso, la maschera mi ha chiesto se ero da sola, ho annuito e mi ha portato al mio posto.

Quella sera mi sono ascoltata Mariah Carey, Joe Cocker, B. B. King, Ricky Martin, Morandi, Zucchero, Renato Zero, la Pausini, Lionel Richie…

Queste convenzioni sociali… dietro ad ogni uomo deve esserci sempre una signora, dicono. E invece no! A volte può essere anche solo una figlia. Spirituale ovviamente, ci mancherebbe!

Ciao Lucianone, ciao donBe mio ♥️♥️♥️

(nella foto io in casa di Luciano)

La randagia fiorita

La libreria è sottosopra, il Buddha è spostato e il sacro nome di Gesù che ci ha regalato suor Serena per il matrimonio è finito nella cesta dei gatti accanto, non l’ho fatto apposta, non c’è nessuna volontà in ciò, semplicemente dovevo ritrovare alcuni libri di molti anni fa che ho gelosamente custodito, perché oggi, qui, in questo piccolo appartamento si stanno trovando parole per raccontare di una randagia che mai avrei creduto. E sono parole che vengono da lontanissimo, che non sapevo neppure di aver custodito. O forse non esistevano prima di oggi. Chissà.

Mi gira la testa e proprio da quella testa stanno uscendo ricordi incredibili, energie pazzesche. E torna Bologna, donBe, quando scrivevo scrivevo scrivevo all’università, e mi dicevo che bello, questa cosa non la sapevo proprio, sono felice di averla imparata, e anche i miei quando c’erano e non avevo ancora crepe conosciute, la luce di quando calava il sole nelle campagne di Modena e il sorriso della mia migliore amica, la Nonnina, il pensare di avere tutto davanti a sè, il canale gelido accanto al cimitero in cui andavamo a fare il bagno d’estate, da piccoli, i discesini in bicicletta e la villa disabitata con i cadaveri che pensavamo ci fossero dentro, le sere d’estate con i campi di grano e le lucciole…………

Ora ho capito perché mi è piaciuto tanto questo vaso della Cocciaia l’altro giorno, sulla spiaggia di Baratti, perché lì dentro si può rinascere e non c’entra nulla che ci siano delle crepe, tutti le abbiamo.