La mattina del 7 agosto mi sono svegliata, ho aperto gli scuri della mia camera ma solo in fessura perché c’era già molto caldo, sono andata in cucina e ho trovato come sempre la mia tazza con scritto buongiorno un cazzo, la moka da tre, il latte e il mio croissant alla crema da condividere con Miranda, la gatta.
Tutte le mattine prima di andare a lavorare Massi mi lascia la tavola apparecchiata e quando non lo fa significa che abbiamo litigato pesantemente, ma accade di rado.
Dopo colazione mi sono vestita, ho messo la canottiera scollata a righine bianche e blu, i jeans, i soliti sandali, ho raccolto i capelli in uno chignon spettinato e mi sono diretta verso il luogo in cui sono nata e sono morta, poi sono anche rinata, ma non lì.
Ho parcheggiato la mia due cavalli dove la metto sempre, fra il tiglio e il posto dei disabili. Sono scesa, ho chiuso bene la portiera che spesso lascio aperta distrattamente e con passo veloce e solenne sono entrata, diretta dove dovevo, ma anche interessata a vedere se per caso fosse arrivato qualcuno di nuovo.
Davanti alla tomba dei miei genitori ho controllato i fiori, in pieno sole pochissimi resistono, solo questo cespuglietto di spighe blu che sembra lavanda ma lavanda non è e non ricordo come si chiama, spolverato il lumino a forma di tulipano, strappato l’erba matta che cresce fra il marmo e la stradina e mi sono posizionata a metà fra l’uno e l’altra.
Ho urlato Vaffanculo e me ne sono andata.
Avevo diverse commissioni da fare quella mattina e poi mi sarei trovata con Alle e Maurizia in centro per uno di quei pranzi in cui tutto può accadere, mi sorprendo sempre della leggerezza e della follia che riusciamo a inventarci insieme. Ero stata la prima ad arrivare nella piazzetta in centro dove io e le mie amiche pranziamo sempre e mi sono seduta cercando con lo sguardo Pea, la micia della curia che si struscia volentieri sulle mie gambe e mi suscita pensieri profondi. I pensieri in quel momento nell’ordine erano: quale vino ordinare, controllare che Pea non avesse pulci per il fatto che la sera prima avevo messo l’antipulci a Pipi e a Miranda e confrontarmi con le mie amiche su un tema che mi interessava molto in quei giorni, ossia informarmi su ciò che hanno provato le mie amiche quando hanno tenuto in mano per la prima volta un pisello.
Avevo bisogno di capire, perché per me il vaffanculo urlato quel mattino al cimitero e il cazzo erano uniti da un fil rouge potente e assoluto, l’amore.
Ragazze, vi devo chiedere una cosa, ho detto dopo aver buttato giù un po’ di falanghina e Alle Cri, com’è andata a casa della Nonnina? e Mauri Giusto! Sei tanto triste? e io Non so, oggi mi sento molto randagia e proprio per questo avrei bisogno di sapere che cosa avete provato la prima volta che vi siete trovate in mano un cazzo! e ho buttato giù il resto della falanghina rimasta nel calice. Pea era sempre sotto al tavolo a strusciarsi e loro tacevano, un po’ spiazzate, così sono partita io a raccontare, che poi forse avevo bisogno soprattutto di quello.
Il primo pisello che mi sono trovata in mano apparteneva a Bastiano, allievo ufficiale dell’Accademia, con cui avevo iniziato ad uscire a 17 anni, più o meno con lo stesso entusiasmo di Biancaneve che esce con Pisolo. Prima di lui solo Matt dei Bee-Hive, il complesso musicale di Kiss me Licia e Livio, anche lui musicista, mi piaceva seguirlo perché era bellissimo e le vie del paese quando lui passava in bicicletta diventavano più luminose, che importa se poi lui imprecava perché mi trovava sempre ovunque.
Amori pazzeschi per me, ma Bastiano è stato il primo, quello un po’ più vero degli altri. Per mia madre era stranissimo che non avessi ancora avuto un fidanzato, per me no perché ho sempre avuto tempi incerti e lunghi su quasi tutto e sicuramente mia madre soffriva del fatto che nessuna sua amica avesse mai potuto dirle che figlia precoce che hai, certamente le avrebbe fatto molto piacere. Tutto sommato però ne era valsa la pena di aspettare, perché ora c’era la concreta possibilità, a suo dire, di diventare suocera di un ufficiale in carriera, finalmente stavo combinando qualcosa di buono. Peccato che Bastiano avesse in mente soltanto di portarmi all’Hotel della Pace, mentre io ero certa che quando avrei perso la verginità certamente non sarebbe stato per nessun motivo al mondo in uno squallido hotel con balconcini sui binari, Modena, stazione di Modena! o forse sì, ma perché andava a me. Questo creava conflitti fra me e Bastiano e fra me e mia madre, che tentava di farmi capire che gli uomini sono così, vogliono solo una cosa e voleva portarmi dal ginecologo per iniziare a parlare degli anticoncezionali. La mia risposta a lei e a lui erano cuoricini di argento spezzati romanticamente in due ma che Bastiano non ha mai messo, Eh, bè, gli ufficiali mica possono mettersi catenine sulle divise diceva madre e io continuavo con trascrizioni di testi di canzoni di Miguel Bosè e Ramazzotti, piccoli regalini a lui e una apparente complicità con lei. Nel frattempo, vista la situazione di attesa romantica, Bastiano ha deciso di mettermi in mano il suo cazzo per la prima volta al cinema Olympia durante la proiezione di Piccolo Grande Amore, mi ha guidato un po’ la mano e si è asciugato con un fazzolettino di carta. Stop. E il film non mi era neppure tanto piaciuto.
Mi ha ritrovata su facebook 3 anni fa e per molto tempo mi ha chiesto di rivederci, da Roma voleva tornare a Modena, mi diceva che ero l’unica donna intelligente che aveva conosciuto, povero lui. Sulla sua bacheca ci sono solo scie chimiche e cerchi nel grano e io penso che sia proprio una fortuna per me sapermi inventare l’amore dove non c’è e poi andarmene così, forse senza un perché o anche perché sì e basta.
Mia madre… Ricordo quella volta che mi aveva portata dal dentista, ero bambina, mi aveva comprato l’album e le figurine di Georgie per convincermi e io ero felice, poi però non abbiamo più ritrovato la macchina nel parcheggio alla sera tardi ed è stato un casino. Era stato un casino anche quando ero andata al mare con un’amica e al ritorno c’era lo sciopero dei treni e non sono riuscita a tornare in tempo per un suo piccolo intervento e mi ha detto che l’avevo delusa. O quella volta che aveva letto di nascosto i miei diari segreti e io ci avevo scritto le peggiori cose su di lei e anche quando mi ha obbligata a comprare due cappotti costosi di cui non avevo bisogno e che non volevo, chissà dove li ho persi. E la pasta al ragù fredda ogni pomeriggio al ritorno dalle superiori, con lei che mi chiedeva com’era andata ma in realtà non ascoltava perché guardava Beautiful. Si lamentava di me con le amiche, non ero mai abbastanza, nel frattempo io la proteggevo e non le ho mai detto che le rimaneva un anno di vita, la ascoltavo quando mi vomitava addosso che mio padre la trattava male, la stava uccidendo e lei se ne sarebbe andata, ma poi è sempre rimasta, o forse non c’era mai stata. Ricordo quando mi chiamava Pimpinella, non so perché.
Per fortuna c’era la mia Nonnina, abitava due ville più in là della mia, capiva dal numero di rintocchi della campana se era morto un uomo o una donna e partecipava ai funerali anche se non conosceva il morto, ogni sabato andava a farsi la messa in piega e alla sera mi cucinava i quadretti in brodo con l’uovo sbattuto e il parmigiano come non li ho più mangiati. Quando i miei genitori andavano in vacanza io dormivo da lei perché avevo paura del buio e lei per me aveva una bella luce, anche se poi al mattino a colazione mi diceva Cristi, ascolta bene, quando avrai un marito devi concederti sempre, altrimenti la vanno a cercare da un’altra parte e non sta bene. Anche io con tuo nonno ho sempre fatto così, gli uomini non sono come noi. Si riferiva forse al fatto che il nonno, mentre lei stava in latteria dietro al banco e lui non le ha nemmeno mai pagato i contributi, faceva qualche consegna in bicicletta e poi passava il resto della mattinata al teatro Storchi a vedere le signorine che si spogliavano, eppure la Nonnina gliel’ha sempre data, quindi non capivo molto bene quel se ti neghi vanno a cercare figa altrove. Ero giovane ma comprendevo che negarsi e concedersi poco aveva a che fare con l’amore, anche se funzionava molto bene, vedevo, il prendere una donna, trattarla male e assicurarsi quindi il suo amore eterno o qualunque cosa fosse.
La nonna Emma invece l’avevo affettuosamente ribattezzata la nonna stronza, l’ultima volta che l’ho vista è stata al cimitero da mia mamma, era morta da poco e io andavo ogni pomeriggio, forse per ritrovarla o forse per essere sicura che fosse ancora lì, che non potesse tornare. Incontravo persone che mi raccontavano storie strazianti e anche la nonna stronza mi ha raccontato la sua. Le mancava tanto sua figlia, non si dava pace, non poteva sopravvivere a quel dolore, era stato lo stesso dolore anzi, forse peggio che aveva provato per il nonno Leandro decenni prima, quando poi appena morto lei era andata dalla parrucchiera per una messa in piega sobria e luttuosa perché al funerale doveva mostrarsi parecchio disperata ma pur sempre ordinata e che nessuno potesse dire che sciatta l’Emma, deve aver proprio sofferto, come farà adesso senza Leandro. Mia madre non era mai riuscita a superare l’idea di sua madre dalla parrucchiera mentre lei piangeva disperata il padre, poi le lacrime sono finite perché io non ho mai visto mia mamma piangere, ma la disperazione mai, credo. Comunque alla nonna stronza quel pomeriggio al cimitero ho detto che le persone vanno amate da vive, che dopo è facile intestarsi un amore che non è mai esistito e usarlo come una bella messa in piega. Mia mamma era stata malata un anno e lei non era mai venuta a trovarla, cazzo.
Vaffanculo! Io avevo bisogno di una madre che mi dicesse che andavo bene così com’ero e invece la sensazione era quella di essere stata buttata nella vita così, per puro caso, con la responsabilità di vivere al posto di altri. Mi sentivo un rimedio, non un pensiero d’amore e la follia di questa identità l’ho capita definitivamente soltanto da madre.
Camilla quando è nata urlava fortissimo, non capivo da dove tirasse fuori tutta quella voce in 45 centimetri e 2 chili, io non ricordo i miei pianti, ricordo invece benissimo che avrei voluto scomparire, che il disturbo che arrecavo mi era stato evidente fin da piccola. Nella mia maternità non ho mai sentito la mancanza di mia madre perché cercavo di rendere l’amore la mia esperienza di vita e lei era lontanissima ormai, da anni, da sempre. Avevo dimenticato il suono della sua voce presto e anche le sue parole, a parte quelle del bigliettino che mi ha scritto due settimane prima di morire, con grafia tremolante: ricorda che alla fine di tutto la cosa più importante sarà quanto avrai amato.
Allora lo sapeva, ne era consapevole quindi, semplicemente non è mai riuscita ad esercitare la tenerezza verso se stessa.
Sono rinata quando pochi mesi fa Cami ha fatto un esercizio. La prof. di italiano le ha messe in coppia a raccontarsi, a cercare e trovare le parole e ha dato alcuni spunti: chi è il tuo eroe, racconta come chi vorresti diventare, e lei ha scritto come mia madre e me l’ha raccontato mentre guidavo, tornando da scuola come che fosse la cosa più naturale al mondo.
Non mi ero mai accorta di essere un’eroina, cazzo! Cazzo cazzo!
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Questo è il racconto che ho scritto alla settimana di scrittura autobiografica condotta da Rossana Campo per Scuola Omero.
Orgogliosa io!
l’unica cosa spiacevole di questo brano è l’apprendere che sia nato da un esercizio a un corso di scrittura, perchè per il resto c’è il clima, il tono, il flusso che mi piace trovare quando qualcuno racconta di sè.
Naturalmente è un’ingenuità la mia, propria di chi non vuol pensare al lavorio che c’è dietro a una scrittura, è che amo il flusso fintamente naturale delle parole.
ml
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Ti voglio rassicurare, Massimo: le proposte di lavoro di Rossana Campo hanno semplicemente fatto uscire meglio e più agevolmente ciò che hai letto, ma il resto è tutto tutto mio. Dici bene, c’è un grosso lavoro dietro alla scrittura che però con la scrittura nulla ha a che fare e che riguarda la vita e l’elaborazione della stessa. Nel mio caso il flusso è naturalissimo ☺️ Un caro saluto, continua a leggermi
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