Ebbene sì, devo confessarlo, ho una doppia vita, da 20 anni esatti.
Dal 9/9/1999, da quando mia madre si è ammalata di tumore. Poi si è ammalato anche mio padre, sempre di tumore. E Massi, non di tumore, per fortuna, ma di chron, che comunque rompe assai i coglioni e genera tutta una serie di ricadute a moltissimi livelli, le malattie croniche sfiniscono prima di tutto i malati, poi anche chi è vicino a loro, ti si appiccicano addosso come qualcosa che non riuscirai mai a staccare e condizionano pesantemente la vita normale, i progetti, a volte anche i sogni perché il cuore in certi giorni diventa un po’ grigio come il tempo che c’è fuori a novembre. E poi questi cuori diventano anche neri furiosi, quando scoprono che le malattie non sono state seguite bene, che si è perso tempo, che per strada chi ti ha seguito ha perso anche professionalità, competenza e amore.
Ecco il mio coming out: ho una doppia vita negli ospedali, un’altra me molto più randagia della vera me che si aggira per corridoi e sale di attesa, che vorrebbe adattarsi agli orari dei reparti ma non ce la fa perché li memorizza sbagliati, che maledice i parcheggi ospedalieri perché non trova mai posto peggio che nei viali di Modena centro, che vorrebbe andare a parlare coi medici ma poi preferisce di no, tanto… Un’altra me che cerca di dare aiuto, spesso anche a chi non conosce, in quei letti, su quelle seggiole, che non sopporta la solitudine dei malati in ospedale e allora infrange barriere, attacca pezze, da aiuto ma aiuto non chiede mai e tutti danno per scontato che sia sempre lei la forte, lei l’infrangibile, lei l’eterna presente. Fanculo! direbbe l’altra me. E lo dico un po’ anche io.
Fanculo!