Ieri per motivi vari riflettevo su una delle mie caratteristiche più evidenti da tempo immemore, la capacità di prendermi cura che mi porta inevitabilmente a mettermi a disposizione, a chiedermi che cosa posso fare per l’altr*, chiunque ess* sia, conosciut* una vita fa o la settimana scorsa. Come posso migliorarti la vita, aiutarti ad essere di più te stess*? mi chiedo almeno una volta al giorno e a volte nemmeno me lo chiedo, faccio e basta.
Per certi versi trovo che sia un tratto patologico, diciamocelo, che ha a che fare con le proprie fragilità e col bisogno di essere accettati,
già, le nostre fragilità,
di solito chi sa prendersi cura degli altri conosce la fatica del proprio divenire e anche che la vita nasce con noi ma poi va continuamente alimentata e protetta ed è proprio la fragilità che rende indispensabile la cura di sé.
La cura è arte del vivere, proprio e altrui. Da lei dipende la possibilità che la vita sia conservata, riparata e fatta fiorire, anche quelle vite a cui nessuno bada, le vite randagie che apparentemente contano meno e sapete che da una ricerca fatta non molti anni fa negli Stati Uniti i lavori di cura sono in gran parte esercitati da attori sociali quasi invisibili, le donne, a lungo svalutate e tenute spesso gratuitamente a prendersi cura degli altri perché la cura ancora viene vista come una attività naturale delle donne, per la loro natura oblativa e incline al sacrificio? Onestamente non so se siamo fuori da questa visione, anzi lo so: NO. Chi si occupa dei lavori di cura (tat*, insegnanti, infermier*, badanti, operatori sociosanitari sanitari) sta ai posti più bassi nella scala retributiva e a livello di riconoscimento sociale, anche se durante l’emergenza covid infermieri e oss venivano considerati eroi, poi però il tempo passa e le cose si dimenticano e le lotte si abbandonano, soprattutto se non sono le nostre, soprattutto se riguardano le donne.
La teoria biologistica, ossia sei donna sei nata per dare la vita e prenderti cura di essa, è ancora parecchio in voga, checchè se ne dica e durante il covid ne abbiamo avuto l’ennesima prova, nella testa di tant* le donne devono stare a casa e basta, con buona pace delle femministe che sono sempre più antipatiche a molt*.
La cura invece è intergenere, riguarda cioè gli uomini e le donne allo stesso modo, non è vero che le donne ci nascono e gli uomini no.
Certo le donne hanno più dimestichezza con le proprie fragilità, temono molto meno la tenerezza ed è vero che hanno più collegamenti fra gli emisferi cerebrali, tuttavia io ho molta fiducia nell’uomo, nonostante tutto, negli uomini che non devono chiedere mai e non ammettono che c’è sempre una donna che si prende cura di loro.
